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Verdena: scheda

Ultimo Aggiornamento: 19/06/2007 12:48
26/03/2007 12:08
 
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In onore dell'uscita del nuovo album di questa valida band bergamasca posto una mia vecchia scheda su di loro:
VERDENA
La depressione come gioia di vivere

DISCOGRAFIA:
1997 Demotape 5.5
ETICHETTA: Black Out - Universal
1999 Verdena 6.5
1999 Valvonauta EP 5.5
2000 Viba EP 6
2001 Solo un grande sasso 7
2001 Spaceman EP 6.5
2002 Miami Safari EP 7
2004 Il Suicidio dei Samurai 7.5
2004 Luna EP 7
2004 Elefante EP 6.5

"questa è una guerra, quando si muore si muore e basta,
non esiste niente dopo, ed è tutto solo un grande sasso"



La speranza "Verdena" è sulla bocca di tutti, da chi li elogia a chi non li considera affatto la realtà è che si è di fronte ad una delle migliori band italiane dei nostri anni, non più una promessa; dagli inizi come cover band dei Melvins son infine arrivati ad esser affiancati a rockband affermate quali Afterhours e Marlene Kuntz, merito convalidato con un discreto successo all'estero e un tour su e giù per i pub di germania, olanda, francia e svizzera assieme ai Dregd.

Ma iniziamo dal principio:
Il nucleo della band si forma nel 1996 dall'incontro ad Albino (BG) tra i fratelli Luca '81 e Alberto '78 Ferrari (cresciuti a Clash, Sex pistols, Damned, blues e Tom Waits) e Roberta Sammarelli '79 (ex chitarrista delle Porno Nuns), rispettivamente batteria, voce/chitarra e basso. Alberto ha un'attitudine molto pop, Luca ha nel cuore le ritmiche dei Led Zeppelin e già dal 1992 suonano tra cover e canzoni proprie; Roberta, invece, è una punkette stregata a quattordici anni dall'incontro con le L7.
Il nome all'inizio è Verbena ma, causa di un omonimo, si trasforma presto in Verdena con il quale il trio comincia a provare in un pollaio sotto casa; le canzoni nascono da lunghe jam session in bilico tra Green River, Sonic Youth, Black Sabbath e Beatles fino a sfociare nel 1997 in un demotape dal discreto successo (500 copie). Sarà l'opera più pesante della band, undici ottime canzoni dalla splendida tinta nera e sporca ma debitrici infinite di Incesticide e Bleach dei Nirvana; più avanti si porteranno distanti da certe scelte stilistiche, le canzoni implose e le urla sguaiate terminano infatti qui.
In breve si attirano l'attenzione di molte etichette indipendenti tuttavia la ritrosia del gruppo, ormai diventata famosa, fa si che, senza mettersi sotto contratto con nessuna, a suon di concerti nei centri sociali girino prima la lombardia, piemonte ed emilia e che a settembre 1998 si presenti loro la Black Out Universal con la quale firmano immediatamente. La casa discografica, avvertendo del talento e confidando nella giovane età, punta molto su di loro: l'eco di Kurt Cobain in quegli anni si avverte ancora e ci sono migliaia di ragazzini da soddisfare con un disco tra grunge e pop, qualche correzione e i Verdena sono a loro insaputa l'ideale. Viene convocato per la produzione addirittura Giorgio Canali (chitarrista di CCCP, CSI e PGR) e si fanno le cose in grande (in relazione al tipo di band). Si inizia a registare a marzo 1999 e nel giro di un mese il lavoro è finito, pubblicato il 30 settembre 1999 venderà 52.300 copie e vincerà il "Premio PIM" di Repubblica come miglior gruppo rivelazione dell'anno, un risultato notevole. Sfortunatamente il successo non sarà dovuto esclusivamente alla qualità dell'album ma anche alla grande esposizione data loro da mtv, chi non conosce il videoclip di "valvonauta"? Questo da un lato spianerà loro la strada commerciale ma dall'altro li metterà di fronte ad una serie di difficoltà a cui dovranno reagire in maniera energica. Ma parliamo prima dell'album omonimo:

VERDENA 6.5, acerbo
In bilico tra punk, grunge e pop l'album scorre con un buon livello ma l'età della band e ancora tanta inesperienza ne bloccano le potenzialità.
La prima traccia, "ovunque", è uno dei migliori episodi: tre chitarre sovrapposte, una ritmica efficace e una voce all'immatura ricerca di Cobain permettono a questa canzone, dallo stereotipato testo in bilico tra depressione e amore, di scorrere via senza intoppi. "Valvonauta", singolo di lancio, riprende lo stesso discorso della prima e tra slide a tutto manico e la costante depressione (fin troppo adolescenziale) riesce a conquistare il cuore dei ragazzini di mezza Italia ma al tempo stesso ne tiene distante quello di ascoltatori più maturi che li guardano più con tenerezza che con ammirazione.
Sempre solito iniziale giro di chitarra e se ne va velocemente anche "pixel". "L'infinità gioia di henry bahus" ha il valore aggiunto di contenere qualche accenno di fuga psichedelica che diverrà poi un caposaldo della band.
Queste prime quattro canzoni decisamente simili e semplici nascondono, inconsciamente, un mondo luminoso che si schiude lentamente; i testi, come dichiarato dal leader Alberto, non hanno nulla a spartire con il resto della tradizione italiana (a differenza, per esempio, dello splendido lavoro dei Marlene Kuntz) ma sono solo un prolungamento di quello che non può trasmettere la chitarra, ne accentuano le atmosfere ma non hanno la pretesa di raccontare niente: nei testi, in sintesi, non si trova un significato preciso ma solo richiami a senzazioni, e le sensazioni di un appena ventenne nel 2000 si dividono tra crisi esistenziali, amori più o meno falliti e qualche viaggio tra droga e sogno per allontanarsi da speranze più concrete ma fragili, presi con questo spirito riacquistano parte del valore che la critica di solito non concede.
"Vera" è una ballata che suona come una dolce ninna nanna, compare anche una chitarra acustica e un assolo appena accennato che ricalca la melodia, un piccolo gioiello. "Dentro sharon" riprende il discorso dei primi quattro pezzi ma grazie al giro di basso iniziale e le continue accelerazioni e frenate diventerà un classico dei live. "Caramel pop" è un breve strumentale che sa troppo di Marlene Kuntz in salsa pop, buon spunto però che sarà ripreso più efficacemente nel futuro.
Dopo lo strumentale ci sono i due episodi migliori dell'album: il primo, "Viba" (secondo singolo), fonde dentro di sè tutto quello si presagiva nelle tracce precedenti condite con passione e maturità tinte del grigio della nebbia padana che sorprendono, anche il testo sintetizza le tematiche dell'album: un grido disperato d'amore, rimarrà negli anni. Il secondo, "Ultranoia", rimane su questi alti livelli, il batterista Luca accompagna, ticchettando sul bordo del rullante, il giro in sordina della chitarra che poi esplode nel ritornello dove Alberto dà la sua migliore prova come voce (seppur ancora molto insicura e forse principale difetto dell'album), una fuga in crescendo chiude quest'ottima prova. "Zoe", direttamente dal demotape del 1997, perduta la potenza originale vive su di un giro di basso e non aggiunge niente al resto, stesso discorso per "bambina in nero", piacevole ma inutile. L'album si chiude con il botto: "eyliner", la canzone più lunga e cupa, in cui Alberto recita il suo amore ma al tempo stesso lo odia, emanando la sofferenza e il dolore della paranoia; l'esplosione di chitarra e la parte strumentale accentuano addirittura l'atmosfera nera, come l'eyliner, data dal basso, da qui nascerà il terzo album (Il Suicidio Dei Samurai).
In sintesi è un ottimo debutto che, seppur dimenticando la potenza del demotape del 1997, dimostra una band di qualità e ha principalmente il merito di accendere le speranze per un futuro roseo del rock italiano.
Il gruppo suona nei più importanti festival internazionali (Imola Heineken Music Festival, con Hole e Marylin Manson, Independent Day Festival con Deftones e Limp Bizkit, Arezzo Wave Love Festival con Henry Rollins) e in almeno altre cento occasioni mettendo in mostra però più timidezza e buona volontà che vere capacità, servirà loro molto per crescere.

Per ogni band emergente i problemi son sempre dietro l'angolo: scrutando l'eco mediatico creatosi intorno si rendon presto conto di esser considerati sia estremamente derivativi (Radiohead, Nirvana...) che commerciali (nel senso negativo), c'è tutto un mondo indipendente italiano che li guarda quasi con disprezzo e loro, prima stupiti e delusi, si sentono frustrati. La reazione è molto forte, le interviste già caustiche diventano ermetiche ed Alberto scontroso, con risultati forse esagerati ma significativi: ad esempio una registrazione live ad mtv viene mezzo censurata per forti accuse all'emittente e bestemmie, e infine nei concerti il rapporto col pubblico, in quegli anni quasi esclusivamente quattordicenne, è assente e spesso finisce in odio reciproco, con strumenti rotti e brani terminati a metà. Quest'atteggiamento, tuttavia, non li allontana dall'epiteto di figliocci di mtv ma al contrario aggiunge l'opinione comune di esser finti alternativi arroganti, reagiranno ulteriormente chiudendosi sempre più in se stessi, un esempio è il sito: partito con l'intenzione di un rapporto aperto con i fan ormai è solo un'agenda per il tour. D'altro canto questo parziale isolamento permette loro di non entrare completamente nel circolo del music businnes e in un certo modo li salva dal finire come meteora.
Dopo un periodo di spaesamento capiscono, maturando, che l'unica reazione utile è confluire tutta questa negatività nella stesura del nuovo album, ed è proprio con la ritrovata fiducia nei propri mezzi che a luglio 2001 esce "solo un grande sasso", definito ottimamente da Alberto un album "cosmico":

SOLO UN GRANDE SASSO 7
Per il secondo fatidico album c'è mezza italia ad attenderli pronta ad azzannarli per un passo falso e loro vogliono dimostrare di non esser una montatura. Si offre spontaneamente alla produzione Manuel Agnelli (Afterhours), estasiato dopo aver visto diversi loro provini, e si registra nello studio di Mauro Pagani (PFM); il suo lavoro sarà eccezionale, una produzione che sfiora la perfezione e lo stimolo dato al trio darà alla luce un album memorabile dove a farla da padrone è la dilatazione delle canzoni. Al tempo stesso più coeso e sognante del precedente si basa su sovrapposizioni infinite di chitarre, delay a tutto spiano, sinth vari (ottimo l'utilizzo del mellotron), basso effettato, una batteria settantiniana e una voce piena di riverbero che finalmente è all'altezza delle aspettative, nell'insieme, però, si lede l'essenza semplice della band.
La caratteristica portante del lavoro è l'atmosfera: si attraversano canzoni che vivono di sfumature, la lunghezza media raddoppia e il fulcro non sta più nel ritornello ma nell'onnipresente fuga strumentale tra la Radiohead e i Sonic Youth.
Il primo brano, "la tua fretta", è un intro di voce effettata, acustica e mellotron che riprendendo "caramel pop" mostra una grande sicurezza e la ricerca di testi migliori ("è solo che ti rivorrei", semplice ma ficcante), due minuti quasi sussurrati aprono la strada a quello che sarà il primo singolo dell'album: "spaceman", l'avventura dell'uomo spaziale che vive dentro di noi e che ci accompagna nei sogni e nella vita, la differenza con il primo album qui è abissale, regnano i synth e la voce che, con vocali infinite, disegna immagini di un viaggio in nuovo mondo, il videoclip riprende questa tematica. "Nova" è sulla stessa lunghezza d'onda ma aggiunge la prima delle splendide sezioni psichedliche che caratterizzeranno l'album, i testi non dicono niente di sensato ma emanano forti sensazioni, da sentire. "Cara prudenza", invece, si rifà al primo album con nuovo smalto. "Onan", la ballata di turno, è la naturale prosecuzione di "vera", tuttavia non è più un piccolo gioiello ma un nuovo classico. "Starless", altro singolo, nasce da una ritmica in tempo dispari e nei suoi sette minuti Manuel Agnelli esplora tutte le potezialità della band; nonostante l'attitudine pop di Alberto, la canzone vanta anche distorsioni incisive seguite poi dal solito crescendo. Altro singolo: "miami safari", ottimo brano che continua il percorso con succose aggiunte prese a piene mani dai Motorpsycho. "Nel mio letto" (poi correlato da videoclip) merita un discorso a sè, interessante esperimento scritto tutto in studio, sicuramente spinto da Agnelli, si struttura su una ritmica in quattro quarti spaccati della batteria e su una base di piano rodhes, si chiude con un assolo in reverse, i Verdena qui vogliono uscire del nomignolo di Nirvana-italiani e vanno in cerca di Jhon Lennon. "Mille anni con elide" getta le fondamenta del futuro ma perde il confronto con le altre canzoni adagiandosi su se stessa. "Buona risposta" cerca di brillare ma manca di ispirazione. Infine, con la lunghissima e psichedelica "centrifuga" e l'atmosferica "meduse e tappeti", entrambe all'altezza, si chiude uno dei migliori album italiani degli ultimi tempi, i difetti a cercarli tuttavia non mancano: i testi troppo lontani dal paradigma italiano non convincono appieno, il successo del primo album regala troppa autostima ad Alberto che si lancia in improvvisazioni rischiose ma sincere e Agnelli calca troppo la mano con la produzione, la perfezione non vive nel rock.
L'album venderà 27000 copie e piazzerà diversi singoli in classifica, una buona conferma. Problematica, però, sarà la riproduzione dei brani dal vivo e costringerà il trio a portarsi dietro un tastierista per non ritrovarsi con canzoni troppo vuote, tuttavia la gavetta degli anni precedenti si fa sentire e le esibizioni migliorano fino a culminare nel concerto come supporter agli U2 a Torino.

Ora c'è proprio tutta l'Italia a guardarli, le aspettative per il nuovo sono veramente forti ma loro vogliono comunque rischiare: l'autoproduzione. Con tutti i soldi guadagnati viene costruito, nell'ex-pollaio dove provano, l'"henhouse studio": uno studio di registrazione completamente analogico dove possono dare sfogo alle loro jam session, spirito da apprezzare.
I ragazzi, sulla via della maturità, vogliono prendersela con calma, entra in pianta stabile il tastierista Fidel Figaroli (allievo di Franco D'Andrea) che li aveva accompaganti nel tour precedente e Alberto inizia a scrivere testi più impegnativi e ragionati. Dopo tre anni di attesa il 21/01/04 finalmente esce il terzo album che questa volta riceve dal frontman l'appellativo "rude":

IL SUICIDIO DEI SAMURAI: 7.5
Due settimane prima suonano a Groningen, all’Eurosonic.
Esce Luna EP, che entra nelle classifiche in seconda posizione e rimane nella Top Ten per 2 settimane.
L’album appena pubblicato entra nelle classifiche al numero 7.
Di seguito un "club tour" (circa 100 date) registra il tutto esaurito.
Venderà 22.000 copie e sarà pubblicato in Svizzera, Austria, Germania e Francia, guadagnando in più un contratto con la prestigiosa etichetta francese Barclay e relativo tour. Sono i numeri di una band in gran splovero.
Ma torniamo alla musica in sè; l'evoluzione degli ultimi due album è segnata profondamente dalla produzione: se s.u.g.s. era sovraprodotto, molto evocativo e con gli strumenti miscelati, in questo invece si cerca l'asciuttezza, la creazione di brani perfettamente eseguibili dal vivo e maggiore incisività, operazione a mio avviso riuscita quasi del tutto.
Giro di martellante di batteria, la chitarra lo segue, sottofondo di urletti e synth: inizia "logorrea", Alberto scandisce ogni parola, la sua band sarà uno stereotipo ma lui si scaglia contro gli stereotipi della società che continua a sopportare ("ingoio un rospo"), assolo sorretto per la prima volta esclusivamente da batteria e basso e si riparte, canzone acida. "Luna", primo singolo, lieve arpeggio e basso distorto, stupisce per la lucidità con cui si disegna, conflitto odio/amore, il solito tema ma che acquista in profondità e concretezza.
Questa volta è il synth a dare il la alla canzone: "mina", altra canzone d'alto livello, evocativa in maniera diversa di s.u.g.s, più diretta, un cantato stanco si trasforma in urlo, i ragazzi sono consci delle loro capacità e di dove mirare. L'atmosfera creata dalle canzoni è un filo continuo, sembra sia scomparsa la gioia che precedentemente traspariva anche dalle composizioni più buie, non rimane nient'altro che la cupa tristezza di una persona non solo incapace di reagire al suo destino ma che lo accetta in pieno, le domande sono quelle di un adolescente ma le risposte no: sono di una persona sconfitta che si illumina per piccole cose per poi tornare nella depressione, il paradosso sta nel piacere del deprimersi; la voce diventa sempre più uno strumento a servizio della linea melodica e proprio per questo i testi sono i migliori mai scritti.
Dalle note di "balanite" scende catrame puro, la batteria scandisce il tempo come un orologio in un viaggio che non porta da nessuna parte. In "phantastica", secondo singolo, ricompare a tratti la luce: lo stile ormai è divenuto personale, basato su basso distorto, arpeggi e synth ad amalgamare, si maschera da canzone d'amore e sfoggia il miglior testo di sempre ("c'è un cristo che sanguina e ci guarda con rabbia"). "Elefante", terzo singolo (e canzone di punta per l'estero), è una canzone che esce un po' fuori dagli schemi dei Verdena, forse l'unica totalmente psichedelica, ritmica sostenuta e testo completamente no-sense, è un delirio. Arriviamo a "glamodrama", vero e proprio manifesto della band, come "viba" per gli inizi riassume ciò che è ora la band, spaensante il suo effetto dal vivo: non c'è il semplice piacere di vedere un concerto ma al suo posto uno sfogo doloroso del mal di vivere, eccezionale il crescendo strumentale finale. Se l'album finisse qui si avvicinerebbe al capolavoro, nessuna canzone giù di tono e una personalità che riesce a far cambiare idea anche ai detrattori più ostinati. Invece si continua, "far fisa", dal testo banale ("la gente lucida non pensa a niente") e dal lungo e per la prima volta inutile assolo, non si riprende neanche con l'inaspettato finale strumentale. "17 tir nel cortil" ci riprova con un testo più sensato ma che si rivela ancora più banale, anche qui non si va a fondo: non sono ambiti adatti ai Verdena, peccato per queste due canzoni sottotono.
Il livello si rialza con "40 secondi di niente", canzone dalle vecchie atmosfere e con un testo nostalgico, e con "il suididio del samurai", ultima traccia, che esprime al meglio la mente di Alberto: un paranoia e ansia continua, il ripetersi ossessivo del riff portante nel finale è da brividi.
Quest'album donerà loro la considerazione tanto cercata: non sono più solo quattro ragazzi talentuosi ma una vera e propria band, sembra poco ma nel panorama musicale italiano sfiora l'impresa.
Il tour all'estero porta qualche dissidio interno e alla fine se ne va Fidel e per poco anche Roberta, non è dato sapere i particolari.

Interessante è andare a spulciare ogni loro ep, infatti tra cover (Cream, Melvins, 13th Floor Elevator) e pezzi inediti si posson considerare dei veri e propri mini album; ad esempio "elefante ep", l'ultimo, rivela la voglia sperimentale della band: tra percorsi dentro "there there" dei Radiohead compare addirittura una drum-machine stile CCCP e la voglia di aumentare la tensione delle composizioni, questa è proprio la direzione delle canzoni in lavorazione per l'album che dovrebbe uscire a marzo 2007.
26/03/2007 14:58
 
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sinceramente non mi piacciono...però non ce li vedo come gruppo da mtv o commerciale, sono tutt'altro che banali...li rispetto perchè credo che abbiano ottime potenzialità e possono fare cose molto originali.
26/03/2007 15:45
 
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li ho visti qualche settimana fa qua a Roma...

..e non mi sono piaciuti per niente dal vivo [SM=x1303768]

mentre su disco un po mi piacciono [SM=x1303812]

Manuel Agnelli, al tempo in cui produsse il loro secondo album, disse che sono la band italiana del futuro [SM=g27815]

17/06/2007 15:42
 
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"Vinci per noi magica Atalanta,vinci per noi magica Atalanta Ooo-ooo-ooo..."
This is Bono!

Un muto dice a un sordo "un cieco ci sta spiando e uno zoppo ci sta inseguendo!"
17/06/2007 23:18
 
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non mi piacciono per niente li trovo di una noia mortale [SM=x1303769] [SM=x1303769]

19/06/2007 12:48
 
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Mi fanno venire due coglioni incommensurabili, mi irritano e sono angosciosi. Non li odio, nè li amo. Diciamo che c'è un rapporto di indifferenza... [SM=x1303787]
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